Oggi è venuto a trovarmi in campo pratica il più giovane Chef stellato d’Italia, Lorenzo Cogo. Ci siamo detti un milione di cose ed è nata l’idea di condividere con voi la nostra chiacchierata, primo perchè non capita tutti i giorni di aver a che fare con una persona dal talento così elevato e secondo perchè la sua ricerca della perfezione mi ha davvero impressionato.
Lorenzo, classe 1986 non esce da un talent show (per fortuna!) e non è uno Chef improvvisato, è uno Chef imprenditore, come lui stesso ama definirsi.
Ha girato mezzo mondo passando tra Paesi Baschi, Giappone, Australia, Regno Unito; a 24 anni apre il suo ristorate a Marano Vicentino e conquista la sua prima stella Michelin.
Lorenzo che differenza c’è tra cuoco e chef?
“Lo Chef, per definizione, è il capo, comandante della cucina, ha più responsabilità del cuoco in senso stretto del termine, più capacità e conoscenza, anche se alla fine entrambi cucinano. Essere chef ti costringe ad occuparti di tanti altri aspetti organizzativi della cucina. Quello di chef non è un titolo a caso e tanto meno un titolo che ti viene assegnato. Io mi definisco chef/imprenditore perchè possiedo il mio locale e sono imprenditore di me stesso. A differenza di tanti altri chef stellati, giovani, che lavorano all’interno di strutture che non sono di loro proprietà e per mezzo di investimenti di terzi, io mi confronto tutti i giorni con i miei limiti e non con quelli di qualcun altro. Decido io dove andare e questo mi fa crescere moltissimo”.
La precisione in cucina e quella sul green accomunano la tua professione alla mia, cosa ti ha spinto a provare a giocare a golf?
“Vivo di sport, ho bisogno di sport. Sono molto stressato e questo non fa bene al fisico, l’unica via per stare bene è fare dello sport. Ho corso in moto fino a 18 anni (Campionato Superstock 600) poi, come molti, essendo una professione molto costosa (quella del pilota), pericolosa e dove arrivare secondo non è sufficiente, ho abbandonato e mi sono totalmente dedicato alla cucina. Nello sport, come nella vita, mi piace mettermi alla prova, sfidare me stesso, vedere dove posso arrivare, quali sono i miei limiti. Nel golf, come in cucina, ci vuole disciplina; nella cucina giapponese, per esempio, si parla del centro del corpo (la spalla sinistra per lui che è mancino) come nel golf si parla del centro dello swing, per operare i tagli dei cibi, si impugna il coltello in maniera molto simile a come si impugna il bastone da golf. Tutte queste analogie tra due discipline, tra loro apparentemente lontane, mi affascinano”.
Perchè cucini ?
“E’ una sfida, una ricerca, è una gioa. Una sfida perchè sono curioso di scoprire quali sono i miei limiti, come reagisco davanti ai problemi di gestione di un locale e la necessità di cucinare; è continua ricerca perchè cerco di ascoltare il mio palato e quali nuove combinazioni di gusti lo possano ancora stupire. La mia cucina è l’espressione di me, il motivo per il quale ho lasciato la cucina tradizionale e ho scelto di fare cucina contemporanea è perchè sentivo un malessere interiore per la mancanza della possibilità di espressione, io ho scelto di esprimermi e dire quello che penso attraverso i miei piatti “.
A quale tratto del tuo carattere non rinunceresti mai ?
“All’entusiasmo. Talvolta però necessito di solitudine per ricaricarmi, devo trasmettere qualcosa alla gente e se non mi ricarico non riesco a stare in mezzo alle persone e a trasferire alle stesse l’energia di cui hanno bisogno”.
Cosa non deve mai mancare nella tua cucina?
“La brace. Adoro cucinare alla brace, dialogare con il fuoco per me è di fondamentale importanza, assieme al fascino di poter coniugare un metodo di cottura ancestrale ad una cucina contemporanea; il paradosso più bello che possa esistere”.
Perchè hai chiamato il tuo locale “El Coq”?
“Le coq” in francese significa gallo, “Il gallo” è stato per molto tempo il soprannome di mio papà e per me è stato un modo di ringraziarlo per i costanti aiuti ricevuti in fase di crescita personale, “Le Coq” però era troppo scontato e poi territoriale, quindi ho girato l’articolo in “El” per creare un pò di disorientamento che si collega con il mio modo di vivere la ristorazione, ricco di ricerca, continua evoluzione ed ironia. Il riferimento è anche al territorio vicentino dato l’utilizzo del dialetto veneto (El).
Quanto cattivo sei quando lavori? (Ti faccio questa domanda perchè lo stereotipo dello chef è quello di un cuoco sempre “incavolato nero” )
“Non si può non esserlo, perchè la cucina è basata sulla disciplina, non puoi essere un grande cuoco se non hai disciplina, la devi trasmettere; durante il servizio non c’è la possibilità di sbagliare, tutti devono essere coordinati e al passo, ci sono tempi stretti, bisogna essere attenti e concentrati. In cucina non bisogna mai dare nulla per scontato, ogni giorno si riparte da zero, per far funzionare il tutto per il meglio devo, purtroppo, devo trasmettere un certa rigidità ai miei collaboratori.”
C’è un piatto che preferisci cucinare ?
“Non c’è un piatto che preferisco, mi piace cucinare tutto, l’importante per me è sentirmi bene mentre lo preparo. Tutto è correlato al mio stato d’animo, è il gesto di “cucinare” che mi fa star bene, indipendentemente dal piatto.
C’è una persona per la quale ti piacerebbe cucinare?
“Cucinare per me è un gesto d’affetto, la gioia più grande è cucinare per chi amo. E’ sempre più emozionante cucinare per loro che non per le persone famose o per critici gastronomici”.
Perchè hai scelto di aprire “El Coq” a Marano Vicentino invece che a Milano o Roma?
” Parto dal presupposto che io sono io, indipendentemente dalle piazze più blasonate e dal fatto che quello di Marano Vicentino è un territorio che ha molte possibilità, prodotti unici e rapporti diretti con i fornitori delle mie materie prime. Nelle grandi città c’è il rischio di omologarsi alla massa e a uno standard di sapori”.
Con chi ti piacerebbe cucinare?
” Sicuramente con degli sportivi, tipo Antonio Cairoli e Renato Paratore, la cucina per me è divertimento, con gli sportivi sarebbe interessante perchè ci accomuna il raggiungimento di grandi traguardi attraverso tanti sacrifici. Mi piacerebbe immergerli in un mondo che non conoscono e scoprire il loro talento anche in cucina; un campione deve essere in grado di tirare fuori le proprie qualità negli ambiti più diversi “.
La tua cucina ideale?
“Un cubo di vetro, la cucina deve respirare, mi piacerebbe lavorare con tanta luce e godermi la giornata che c’è fuori, fa bene all’umore e se tutto lo staff è di buon umore cucino meglio”.
Quale cucina ti ha insegnato di più ?
“Quella giapponese, perchè è ricca di tecnica e non tollera l’improvvisazione”.
Finita l’intervista mi è venuta una certa fame ……giusto in tempo per un Coq Burger !!!! Strepitoso !